domenica 7 ottobre 2012

Apoptosi e scienza moderna

L’apoptosi è un processo biologico assai complesso, misterioso da sondare nei suoi meccanismi; tuttavia risulta assai significativo e rivelatore delle lampanti conseguenze della perdita dell’equilibrio all’interno di un sistema cellulare, quindi organico.
Il termine apoptosi (dal greco ἀπὸ, "da", e πτῶσις, "caduta"), richiama l’immagine delle foglie che cadono dagli alberi, e se già Ungaretti in Soldati era riuscito a cogliere questo stato d’animo dell’uomo moderno, adesso questo processo di morte cellulare programmata, congenito in ogni organismo, è sicuramente stato attivato.
Il processo apoptotico non è una comune morte cellulare, quale potrebbe essere la semplice necrosi da danno tissutale (come ogni studente al primo esame di patologia sa bene), ma è un ben orchestrato meccanismo di suicidio che una cellula pone in essere in alcuni casi: può essere una fase del normale turn over tissutale, dell’ontogenesi e dell’omeostasi del sistema immunitario (che comprende la formazione e il differenziamento linfocitario), può far parte dello sviluppo embrionale, può essere coordinata e controllata dall’azione di fattori di crescita, come, ad esempio, le neurotrofine (che agiscono sulle cellule nervose e gliali tramite recettori che, cambiando la loro conformazione originaria, determinano l’inizio di una serie di eventi che attiveranno dei geni, i quali, a loro volta, porteranno alla crescita di determinate fibre nervose o alla morte per apoptosi di altre, considerate inefficienti o inutili).
Però non bisogna trascurare di dire che l’apoptosi è anche una conseguenza, come dicevamo introducendo l’argomento, di uno squilibrio tra fattori pro-apoptotici e anti-apoptotici. Se manca un fattore di crescita della cellula, se non c’è un sufficiente apporto di ossigeno o di molecole ad alto contenuto energetico, se ci sono danni irreparabili al DNA, o se, per qualche motivo, la cellula perde il contatto con le altre o con il substrato o con la membrana basale, entra in coma. In quest’ultimo caso, parliamo di una particolare apoptosi, definita anoikis, indotta dal distacco dalla matrice extracellulare.
E’ interessante notare che in ogni cellula è custodito, potenzialmente, questo programma di morte: ogni cellula vive perché questo demone rimane silente e perché una delle sue possibilità non si esprime. E’ quanto accade in ogni cellula sana, in equilibrio e funzionale alla sopravvivenza dell’intero organismo. Il priming che resta inattivato è costituito da una serie di enzimi, detti CASPASI, che restano sotto forma di PROCASPASI, teoricamente per tutta la durata della vita del sistema cellulare, se tutto procede nel modo migliore.
Ma cosa accade se qualcosa inizia ad andare nel verso sbagliato? In questo caso l’attivazione di questi enzimi può avvenire secondo un pathway esterno o interno. La via estrinseca parte dal legame di molecole che danno il comando alla cellula di andare in apoptosi, fattori che, legandosi a recettori di membrana, attivano i cosiddetti domini della morte, che interagiscono con le procaspasi, attivandole. La via intrinseca parte dal mitocondrio, un vitale componente della cellula dove avviene gran parte della respirazione cellulare. Nel mitocondrio si trova il citocromo C, spesso paragonato a Giano, il Dio delle Porte, capace sia di contribuire alla vita della cellula, partecipando alla catena respiratoria, e sia di decidere la sua morte in caso di danno irreversibile. In questa eventualità il citocromo esce dal mitocondrio, si lega ad un adattatore e ad una Procaspasi, che, come nella via estrinseca, si attiva. Ne segue, in ogni caso, una serie di modificazioni tipiche della morfologia della cellula apoptotica. I legami con le altre cellule iniziano a venir meno, la cellula si restringe e il nucleo si loba, ma restano integri mitocondri, reticolo endoplasmatico e organuli, per permettere alla cellula stessa di utilizzare ancora le sue funzioni per portare a termine il suo programma. La cellula subisce frammentazioni interne, riducendosi in corpi apoptotici ben distinguibili al microscopio. Il DNA stesso della cellula si distribuisce in frammenti discreti e tutto ciò che prima appariva come un sistema vitale e perfettamente integrato nell’organismo, viene distrutto metodicamente da endonucleasi, proteasi e lipasi.
I corpi apoptotici, ormai destinati a morte sicura, espongono, inesorabilmente, la fosfatidil-serina, un segnale inequivocabile per le cellule circostanti, che, riconoscendolo, fagocitano i resti, senza innescare il benché minimo processo infiammatorio e come se la cellula preesistente non fosse mai stata lì.
Ora: si potrebbe dire che in ogni organismo, a livello cellulare, sia presente, sempre e comunque, una tendenza alla morte e all’autodistruzione. Freud costruì su questo fondamento molte delle sue teorie in Al di là del principio del piacere, ma in questa sede non ci sarebbe di alcuna utilità soffermarci su questa visione psicoanalitica dell’esistenza umana. In realtà si potrebbe affermare che, in ogni nostra più piccola parte, custodiamo uno Shiva, una divinità potente e dalla funzione dissolutiva che, nella Trimūrti, rappresenta una  forza capace di riassorbire i mondi e gli esseri nel Brahman non manifestato (l’aspetto divino che presiede alla conclusione dei cicli duali di vita-morte).
Analizzando le fasi del processo apoptotico e avvalendoci di questo termine di paragone per comprendere l’attuale condizione umana nella modernità, ci possiamo facilmente render conto che l’uomo, e soprattutto l’uomo di scienza, non è più capace di mantenere un equilibrio tra spirito analitico e spirito sintetico, o, se tenta la via della sintesi, cade costantemente nell’errore cognitivo, perché non cerca una conoscenza autentica e non contempla l’ipotesi di distaccarsi dal semplice dominio della materia e della contingenza per aspirare alla comprensione di principi superiori.
La tendenza della moderna scienza è, appunto, tendenza alla specializzazione, alla separazione dei vari ambiti di analisi e alla conseguente frammentazione dello scibile umano. La ricerca scientifica, in particolare, in ogni campo, ha una tendenza sistematizzante, si esprime chiudendosi in se stessa, autolimitandosi e creando, in essa, i corpi apoptotici che la porteranno al suo inesorabile suicidio. E’ una scienza che in sé si sta sfasciando, che, nella sua negazione dell’esistenza di ogni principio di ordine superiore, rinuncia al suo fondamento e a quell’apporto energetico e vitale di cui necessita per sopravvivere. La scienza moderna soddisfa i bisogni di una civiltà materiale che guarda soltanto a dati analitici e quantitativi, che rinuncia a ricollegare la sua molteplicità ad una unità generatrice e che, come ultima aspirazione, può tendere solo ed esclusivamente ad una indefinita e infinita specializzazione, ad una conoscenza sempre più approfondita di particolari.
La concezione moderna della specializzazione scientifica rende l’uomo capace di estendere il suo controllo sulla manifestazione sensibile, ma soltanto in senso orizzontale e materiale, moltiplicando i dettagli conoscitivi, passando dall’anatomia, all’istologia, alla citologia, e poi alla biochimica, alla genetica, alla biologia molecolare e via dicendo. Frammentiamo, sminuzziamo, trituriamo il sapere credendo di renderlo sempre più alla nostra portata, illudendoci di comprendere meglio la natura. Così facendo ci stiamo chiudendo in un sistema chiuso che si sta disgregando e disintegrando, che perde di vista i punti di riferimento e la visione globale, raggiungibile solo osservando dall’alto e dall’esterno del sistema stesso. Ormai la rigida razionalità e il granitico sistema di paradigmi scientifici hanno reso la scienza un aggregato morente di teorie isolate, senza un reale valore speculativo, che si avvia verso il suo dissolvimento. Qui si tenterà di porre in evidenza, anche e soprattutto all’attenzione di studenti e studiosi di discipline scientifiche, gli ostacoli che, di tanto in tanto, la scienza incontra sul suo percorso e gli elaborati escamotages mentali che elabora per superarli e per continuare la sua folle corsa verso la morte.

"Lo specialista asseconda la propensione delle scienze a trasformarsi in ideologie. Al fine di occupare posizioni di comando, lo specialista attribuisce alla propria specialità una superiorità fittizia che il profano, intimidito dall'esoterismo di ogni specializzazione, non osa contestare" (Nicolàs Gòmez Dàvila)

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