mercoledì 19 dicembre 2012

Consulenza eugenetica: cura o prevenzione?

Sempre più spesso si parla di eugenetica, utilizzando questo termine nella sua connotazione più negativa quando si discute delle tecniche di diagnosi preimpianto degli embrioni nei casi di fecondazione assistita (o in riferimento alla famosa legge 40/2004) o di aborto terapeutico.

Per cercare di chiarire la situazione, iniziamo con una precisazione: con il termine eugenetica (dal greco: [eu] buona [ghènesis] nascita) non facciamo riferimento soltanto ad un preciso campo di studi, che si basa sulla genetica di popolazione e, ora, anche sulle tecniche di biologia molecolare, ma soprattutto invochiamo una inequivocabile idea di uomo e di discendenza.
Comunemente si considera come padre di questa disciplina sir Francis Galton (cugino di Charles Darwin) che teorizzò un miglioramento progressivo della razza secondo criteri di selezione artificiale. In realtà, il primo a parlare di eugenetica fu Platone nel Politico dove auspicava un miglioramento degli uomini adatti al comando politico. Lo Stato doveva individuare i più nobili e conservare puro il ghènos dei migliori. Nello Stato platonico, ognuno ha il suo ruolo e gli compete un rango di appartenenza nella comunità stessa. La polis è così rappresentabile come un organismo, considerato nella sua interezza; compito di ogni cittadino è quello di preservare l’organicità e, quindi, la salute della polis e, con essa, quella di ogni membro della società.

L’eugenetica deve mirare a questo stato di benessere sociale e non può essere considerata diversamente dalla tendenza, riflessa in campo scientifico (soprattutto genetico e molecolare), alla custodia dei migliori caratteri ereditari nelle discendenze.

Nelle civiltà antiche i gruppi umani, le popolazioni rispettavano, dall’antichità, leggi intime, biologiche e morfologiche che, senza dubbio, nelle loro componenti ambientali e genetiche, rispecchiavano la loro anima. Questa parte intima spingeva ogni individuo del gruppo e dalla razza a preservare le caratteristiche che rispecchiavano il suo sangue, ad eliminare ogni mescolanza per mantenere la sua forza in un ambiente scelto e il legame stesso con quel medesimo ambiente. Elementi diversi potevano rappresentare pericoli, o portare addirittura alla fine di quella linea di sangue. Per questo riuscivano a creare una continuità nella trasmissione dei geni alla loro discendenza, difendendo, al contempo, una continuità anche esteriore, che si manifestava con l’espressione di elementi fisici distintivi di una determinata popolazione, ma anche una continuità interiore, che includeva senza dubbio una componente genetica.

Nella società moderna, la genetica e l’antropologia non sono riuscite, nel loro cammino, a fornire agli individui gli strumenti idonei a tutelare questa natura profonda della loro discendenza, a conservare questo patrimonio ereditario di forza e di benessere biologico e genealogico. Attualmente possiamo disporre di conoscenze e di tecnologie che ci permettono di diagnosticare malattie mendeliane che si trasmettono con modalità autosomiche dominanti e recessive o direttamente trasmesse dal cromosoma X. Non solo: possiamo giungere a definire le cause molecolari delle malattie e dei difetti congeniti, tramite strategie come clonaggi posizionali o funzionali. Addirittura si lavora sulla possibilità di trattare le malattie genetiche, dovute a mutazioni, trapiantando nei soggetti malati cellule transfettate con geni normali.  

Tuttavia, recentemente, nella consulenza genetica, sono sempre più coinvolti aspetti psicologici, educativi, etici e, purtroppo, religiosi. Si dovrebbe sconsigliare ai genitori malati o portatori sani di patologie genetiche di avere figli, per non portare avanti gravidanze faticose, pericolose e dare vita a soggetti malati che non potranno mai condurre un’esistenza felice e non contribuiranno al benessere della popolazione di cui faranno parte, ma si porteranno sempre dietro una infinita serie di disagi, intolleranze, atteggiamenti distaccati e sensi di colpa da parte di familiari, colleghi o semplici conoscenti.  Questo, oltre ad aumentare notevolmente la frequenza delle malattie ereditarie, crea un pesante carico di individui malati che si ripercuote sulle strutture sociali e sulla comunità stessa, rendendo sempre più lontano quell’auspicato e intimo desiderio di benessere pubblico che, fieramente, i nostri avi miravano a concretizzare. Le uniche a trarre benefici da questa situazione sono, ovviamente, le aziende farmaceutiche, le multinazionali del farmaco, che sono ben liete di dispensare, a costi altissimi, le cure per queste patologie croniche. Ci sarebbe da chiedersi se, invece di una consulenza genetica non ci sia bisogno di una consulenza "eugenetica", e, quindi, invece di tante cure e campagne di sensibilizzazione, non ci sia bisogno di un’educazione alla prevenzione, tanto delle malattie genetiche e croniche, quanto delle malformazioni moralistiche e religiose tipiche delle nostre società moderne. 

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